Firenze (Leonardo Testai di Bio24) – C’è la Toscana dell’agricoltura biologica, e la Toscana dei trattori in strada che esulta per il dietrofront della Ue sul regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi (Sur), che mirava a dimezzarne l’uso entro il 2030. Con risposte diverse rispetto alle sfide dell’ambiente, ma problemi comuni per via del contesto macroeconomico. La protesta dei trattori contro le politiche dell’Unione Europea in tema di agricoltura – a partire dalla Pac – ha vissuto momenti di forte partecipazione tra la Maremma e la Valdichiana, animati da comitati di recente formazione, mentre le associazioni di categoria si accostano con grande prudenza al movimento. Che riaccende i riflettori su un’attività chiave del profilo identitario della Toscana, la cui importanza in tal senso va ben oltre il contributo effettivo (poco sopra il 2%) dato al Pil regionale.
“Gli agricoltori sono allo stremo, il lavoro non è più remunerativo, stiamo lavorando sotto costo di produzione e cosi non va”, ha attaccato Salvatore Fais, allevatore di Riotorto, fondatore di ‘Riscatto agricolo’, la sigla che insieme ai comitati del Cra-Agricoltori Traditi è stata in prima linea da subito nelle proteste in Italia, sulla scia di quanto accaduto in Francia, e poi anche in Germania, Belgio, Olanda, Polonia, Romania. Fra le principali rivendicazioni di ‘Riscatto Agricolo’ c’è la revisione completa della politica agricola europea, la reintroduzione della detassazione Irpef non prorogata dall’ultima legge di bilancio, le agevolazioni per l’acquisto di carburante agricolo, il divieto di importare prodotti da quei paesi dove non sono in vigore regolamenti produttivi stringenti come quelli adottati in Europa.
Climate change e concorrenza “sleale” pesano
Gli effetti negativi del cambiamento climatico – tra siccità, bombe d’acqua e grandine, e gelate improvvise dopo periodi insolitamente miti – hanno penalizzato gli agricoltori, che oltre a repentini cali di produzione devono affrontare la concorrenza dei prodotti d’importazione. Anche per questo “la Toscana negli ultimi dieci anni ha perso oltre 20mila aziende agricole (-28,3%) e 640.111 ettari (-15,1%) di Sau (Superficie agricola utilizzata)”, osserva Daniela Rondinelli, europarlamentare Pd, riconoscendo che “gli agricoltori hanno affrontato tante difficoltà, prima, il Covid-19, poi, i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che stanno mettendo a dura prova il loro lavoro e i loro redditi. Da componente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo, ho lottato per proteggerli dagli aumenti dei prezzi e da politiche ambientali irrealizzabili, astratte ma non cadiamo nel tranello dei movimenti estremisti e antieuropeisti”.
Una distinzione chiara anche alle associazioni di categoria della Toscana, pur solidali con chi protesta coi trattori: “Siamo disponibili a rappresentare le richieste degli imprenditori agricoli in ogni occasione possibile, a partire dai tavoli politici, a condizione che le attuali rivendicazioni nelle piazze non siano strumentalizzate a fini politici, da cui vogliamo mantenere una chiara distanza”, afferma la Cia di Grosseto, secondo cui “non possiamo non essere a fianco e non condividere il malessere degli agricoltori che oggi portano i loro trattori in piazza e questo perché sono sostanzialmente le stesse rivendicazioni che da sempre la Confederazione provinciale sostiene”.
“Crediamo che la protesta in corso – sostiene a sua volta Fabrizio Tistarelli, presidente di Confcooperative Fedagripesca Toscana – assolutamente legittima, debba adesso sfociare nella predisposizione di un organo di carattere locale, un Osservatorio regionale appunto, che in forza delle sue competenze territoriali vigili stabilmente sulla tutela delle nostre produzioni. E, conseguentemente, sulla tenuta occupazionale di un settore che, soltanto in Toscana, coinvolge migliaia di lavoratori. E’ l’evoluzione necessaria di un’interlocuzione che deve contemperare il quadro normativo europeo con le reali condizioni e possibilità degli agricoltori”.
Perché soffre anche l’agricoltore bio
Dall’altro lato c’è la Toscana del bio. Se l’Europa ha dato l’obiettivo del 25% della superficie coltivata a biologico per il 2025, già adesso la regione è al 35,8%. Con 229mila ettari di superficie agricola coltivata secondo il rapporto Sinab – e un salto in avanti di 3.775 ettari tra il 2021 ed il 2022 – la Toscana si colloca al terzo posto tra le regioni più bio d’Italia, e sul primo gradino del podio per incidenza sulla superficie agricola totale regionale. Le aziende agricole bio toscane rappresentano il 14% di quelle totali regionali. Le coltivazioni che hanno trovato più spazio sono le colture foraggere (66.137 ettari), i cereali (36.687 ettari), l’olivo (25.879 ettari), prati e pascoli (23.443 ettari). Un’espansione che va di pari passo con la crescita del numero di attori che coabitano la filiera con 7.089 operatori ed in particolare ai produttori (+2,6%), mentre in parallelo calano gli importatori (-2,4%).
Ma se su pesticidi e gestione dei terreni le posizioni sono agli antipodi fra alfieri del bio e non, il problema della remunerazione è comune. “Un chilo di grano ce lo pagano 25 centesimi, sapete bene quanto costa un chilo di pane al supermercato”, lamenta Fais, parlando del pane comune. Il bio, che di per sé ha rese inferiori alle coltivazioni convenzionali, soffre invece per la forte perdita di potere d’acquisto dei consumatori che colpisce tutti i prodotti premium, e per la riduzione del differenziale di prezzo d’origine che riguarda un numero crescente di prodotti bio rispetto alle produzioni convenzionali.
Secondo un recentissimo studio di Nomisma, nel 2023 gli acquisti bio nella grande distribuzione si attestano a 2,1 miliardi di euro, con un incremento del +4,7% a valore rispetto al 2022, sensibilmente inferiore rispetto al +8,7% del paniere agroalimentare complessivo, sebbene con una flessione più contenuta nei volumi (-0,3% contro -1,2%). Potrebbero essere segnali di una controtendenza rispetto al trend degli ultimi anni che vedeva le aziende bio come più profittevoli: secondo una ricerca di Intesa Sanpaolo, tra il 2019 e il 2022 le imprese agricole non biologiche hanno avuto una crescita di fatturato del 16,1%, mentre quelle biologiche del 23,1%, con un margine operativo lordo superiore.
Il governo auspica accordi di filiera
Dal canto suo, il governo italiano rivendica la sua distanza dalle politiche europee e soprattutto dal Green Deal, ma rimane sotto attacco da parte dell’ala più radicale della protesta, accusato di opporsi troppo debolmente, e di aver eliminato la detassazione Irpef – che potrebbe essere reinserita in extremis nel Milleproroghe, se passerà un emendamento della Lega. Ma l’esecutivo lavora anche sul fronte della remunerazione dei coltivatori. “Dobbiamo cominciare a incentivare gli accordi di filiera, cioè la possibilità di fare in modo che il reddito sia distribuito in tutta la filiera in maniera più equa, però ci manca un elemento, perché dobbiamo coinvolgere anche la grande distribuzione”, ha affermato recentemente Patrizio La Pietra, sottosegretario all’Agricoltura e alla Sovranità alimentare, all’assemblea regionale di Cia Toscana, prima che la protesta dei trattori arrivasse anche in Italia.
“Possiamo fare gli accordi di filiera – ha spiegato – mettendo insieme, faccio sempre l’esempio del grano, i produttori, i mulini e i trasformatori, ma se non coinvolgiamo la grande distribuzione non facciamo un bel lavoro, poi ci troviamo lì un tappo, perché consideriamo sempre che l’85%, più o meno, di tutti i prodotti agroalimentari passano dalla grande distribuzione, quindi noi dobbiamo riuscire a mettere a un tavolo anche loro, e ci stiamo lavorando, e fare in modo che non ci sia più una contrapposizione tra l’agricoltore e la grande distribuzione, ma bisogna cercare di fare squadra affinché questo reddito possa essere distribuito. Ho fatto l’esempio del grano, quindi della pasta, ma è un concetto che possiamo applicare a tutte a tutte le filiere della produzione agricola”.